Accettare il cambiamento. Ecco uno degli argomenti più difficili da trattare; quando un cambiamento si presenta nella nostra vita, soprattutto se inatteso o inevitabile,  porta con se un grande carico di emozioni. Probabilmente per l’istintivo senso di pericolo che le incognite legate alle possibili nuove condizioni accendono automaticamente in noi, o forse perché qualcosa ci dice che per quanto non ottimale, la condizione di partenza era forse preferibile. Comunque sia, ciò che tutti coloro che si interessano di questo argomento sostengono concordemente, è che riconoscere il cambiamento come un’opportunità anche quando non sembra, sia la migliore strategia da adottare. Certo non è  così semplice. Staccarsi da qualcosa o qualcuno, genera quasi sempre sofferenza, e questo dipende dal non voler accettare il fatto che tutto è transitorio, e che in realtà, non possiamo avanzare diritti su nessuno. Per questo molte antiche tradizioni sono pensate dai maestri proprio per abituare i discepoli al perpetuo naturale mutamento, come la nota pratica dei monaci tibetani di destinare per mesi una buona parte della giornata alla realizzazione di bellissimi mandala, che una volta completati saranno felicemente distrutti per fare spazio a nuove bellissime creazioni, o la perpetua cura che nei monasteri cinesi si dedica ai giardini interni dei templi, nei silenziosi karesansui, ripetendo quotidianamente gesti solo apparentemente uguali come disegnare con precisione le distese di ghiaia tra rocce e piccole fontane di bambù. E molto più vicini a noi,  la secolare tradizione che in molti nostri paesi vede ore e ore di lavoro eseguite durante la notte per creare bellissimi e chilometrici tappeti di segatura colorata che l’indomani mattina verranno calpestati dalla processione dei fedeli. Realizzare con pazienza e costanza  qualcosa che ci coinvolge completamente per poi prendercene cura quotidianamente osservandone i cambiamenti è una ginnastica mentale sorprendentemente efficace. Ci avvicina pian piano alla comprensione dello scopo ultimo dell’esistenza umana sulla Terra.

Alessandro A. Pardini 

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